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Sapelli al fianco di Bergoglio: «Basta austerità. No tasse su imprese e lavoro. Bce come la Federal Reserve»

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di Giuseppe Tetto

giulio sapelli«Una società non può avere come fulcro, come totem della sua esistenza, solo il denaro ma deve essere fondata sulla persona».  È questo il pensiero di Giulio Sapelli, economista ed editorialista de Il Messaggero, che va di pari passo con la denuncia di Papa Francesco al sistema economico mondiale. «Quello del Pontefice – ha continuato Sapelli – deve essere un punto di partenza per la finanza attuale, troppo concentrata su se stessa e poco sui reali bisogni delle persone, delle famiglie e delle imprese».

Ma non solo. Con Intelligonews, l’economista ha fatto un’analisi dettagliata della situazione economica italiana ed europea, snocciolando le sue soluzioni.

 

Prof. Sapelli cosa pensa della denuncia che il Papa fa del sistema economico nella sua esortazione “Evangeli Gaudium”?

«Papa Francesco ha ragione, sia da un punto di vista analitico che delle conseguenze. Una società non può avere come fulcro, come totem della sua esistenza, solo il denaro ma deve essere fondata sulla persona. I messaggi dei Papi, come le encicliche o le esortazioni, non si collocano nello schieramento politico ma servono come trampolino di lancio. Quello del Pontefice deve essere un punto di partenza per la finanza attuale, troppo concentrata su se stessa e poco sui bisogni reali delle persone, delle famiglie e delle imprese. Poi è compito del magistero della Chiesa lanciare questo messaggio per richiamare credenti e non credenti».

Come si inscrive il monito del Pontefice nelle politiche economiche europee e del nostro Paese?Udienza generale di Papa Francesco

«Questo discorso, che è transeconomico e transpolitico, è un lievito per ripensare la strada che stiamo percorrendo. Oggi conviviamo con un’economia ingiusta che, oggettivamente, ha creato disuguaglianze fra le classi sociali. Basta pensare alle differenza di stipendio fra gli operai e gli alti dirigenti: vent’anni fa il rapporto era di 1 a 50, oggi la situazione è completamente peggiorata. E poi penso che il Papa, come tutti noi, sia angosciato dal tema della disoccupazione e delle conseguenze morali che ne comporta.  Il suo messaggio dovrebbe essere un monito anche per la Commissione europea che persegue una politica deflattiva, di austerity e che si preoccupa solo di aumentare il surplus commerciale di alcuni paesi a svantaggio della domanda interna».

Da qui la lente d’ingrandimento puntata dalla Ue sull’eccesso di esportazioni della Germania?

«È stato un monito anche degli americani preoccupati  che la stagnazione diventi lo status quo dell’Europa. Una recessione lunghissima mette in crisi tutto il sistema del commercio estero mondiale. In Germania la domanda interna è bassissima: un modello incentrato solo sull’esportazioni, come il suo, con un surplus commerciale forte che esiste fra Paesi che hanno una moneta unica, si riflette sull’economia degli altri Paesi, frenando la loro domanda interna. Non può vivere un’economia solo sull’esportazioni ma si deve sostenere anche dalla domanda allagata».

Guardando all’Italia, pensa che la tanto discussa legge di stabilità possa davvero porre le basi per la ripresa?

«La legge di stabilità non pone le basi per una crescita futura ma almeno inverte quella tendenza che voleva mettere in secondo piano il problema della ripresa.  Una legge, questa, che pone finalmente l’attenzione solo sugli sprechi della spesa pubblica e non su un taglio incondizionato della stessa. Va infatti ricordato che in questi due anni l’Italia ha ridotto la spesa pubblica di 14 miliardi; anzi è l’unico Paese in Europa ad averlo fatto e nessuno lo ricorda. Ma non può essere questa la cura: occorre diminuire le tasse sulle imprese e sul lavoro e ripensare a stimolare la crescita anche con un intervento pubblico dell’economia, però questa è una cosa molto delicata che va fatto in modo diverso che dal passato».

Quindi possiamo ritenerci soddisfatti?

«Non si può essere solo critici verso questa legge. Io sono più critico, invece, su come è stata gestita istituzionalmente: un governo di coalizione non avrebbe mai dovuto affrontare il parlamento con tremila emendamenti. Doveva presentare un testo definitivo e presentare la fiducia».

Ma per quante iniziative il governo italiano provi a mettere sul piatto della crescita, giuste o sbagliate che siano, sembra che ogni movimento sia bloccato dalle imposizioni europee. È d’accordo?

«Certamente. Occorre prima di tutto a una riforma della Bce sul modello della Federal Reserve. Finché non cambia la politica europea, finché non si passa da una politica dall’austerità a una crescita della domanda interna, non si arriverà mai a una politica neo-keynesiana europea, di solidarietà, di mutuo aiuto e di concordia. Anche l’Italia ha fatto la sua parte con proposte che vanno in questo senso, ricordiamo gli euro-bond. Invece sembra che tutto sia mirato a non far partire una politica di condivisione del debito e della crescita». 

 


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